Pastore 1950

La vita del fondatore non è così facile e gloriosa come poi appare dai racconti a posteriori dagli storici (soprattutto quando si mettono a fare gli agiografi).

Oggi che la frase “la Cisl di Pastore e Romani” è diventata quasi un luogo comune, non ci si rende conto di che fatica abbia dovuto fare Giulio Pastore per convincere un’intera generazione di sindacalisti, soprattutto cattolici, dalla quale veniva egli stesso e che era cresciuta col mito del riconoscimento giuridico del sindacato (di cui si era ottenuto l’inserimento nel testo della Costituzione), a lasciar perdere questa strada ed a percorrere quella del libero riconoscimento fra parti privato-collettive (come Romani aveva appena cominciato ad insegnare).

La Cisl aveva ancora pochi mesi di vita che lo scontro fra il vecchio e il nuovo, fra la linea del riconoscimento legislativo e quella del riconoscimento volontario fra le parti, andò in scena nel Consiglio generale che si tenne a Brunate, in provincia di Como, a fine ottobre del 1950. Una sessione che, come scrive Conquiste del lavoro del 5 novembre 1950, fu caratterizzata da una “discussione protrattasi fino a tarda notte”, al termine della quale venne “approvato a maggioranza” (una “ristretta maggioranza”, precisava il professor Vincenzo Saba nella sua biografia di Pastore, p. 494)  un ordine del giorno che dava mandato alla segreteria confederale di “predisporre un progetto di legge” alternativo alle ipotesi di attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione. Un progetto di legge improntato ad alcuni principi il primo dei quali diceva: “la legge non si occupa dei soggetti e delle parti della contrattazione collettiva” (il progetto di legge sarà poi presentato dai deputati sindacalisti della Cisl alla Camera il 14 febbraio 1951).

Dunque la Cisl non è nata sotto il segno dell’unanimità. Neanche quando si è trattato di opporsi all’attuazione degli articoli 39 e 40 è partita dall’unanimità come precondizione.

Eppure Pastore non ha avuto bisogno di commissariare il dissenso; non ha licenziato nessuno, non ha fatto epurazioni. Ha costruito un consenso sempre più ampio a partire dalla profonda convizione nelle proprie ragioni ma anche da una sana e democratica divisione fra favorevoli e contrari. E da una “ristretta maggioranza”, conquistata solo a tarda notte e dopo lunghe e vivaci discussioni, che proprio per questo ha fatto storia e ancora oggi vale molto di più di tanti inutili voti all’unanimità che non lasciano il segno neppure fino al giorno dopo proprio perché, invece che dal confronto e se necessario dal conflitto interno, nascono spesso dal tirare a campare di gruppi dirigenti la cui principale preoccupazione è diventata la scadenza dei mandati e come arrivare alla pensione.

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