Oggi si discute in Tribunale a Roma l’impugnazione dell’ordinanza del giudice Cecilia Bernardo, In sintesi, entro le prossime settimane si saprà se il nostro tentativo di bloccare gli effetti del commissariamento della Fai del 31 ottobre 2014 avrà avuto successo o meno. Di conseguenza, si saprà se il programma di viaggio del commissario (che prevede un congresso, o qualcosa di simile, forse in autunno) arriverà a compimento o se, come nel gioco dell’oca, tutto dovrà tornare alla casella di partenza.
Se è evidentemente presto per fare bilanci, questo ci sembra il momento migliore per un paio di considerazioni sulla vicenda, che è meglio fare ora per evitare che poi possano apparire o come vanagloria del vincitore oppure come discorso di inutile consolazione per lo sconfitto.
La prima è che questa battaglia l’abbiamo cominciata per vincerla: non è mai stata nulla di velleitario, né una semplice testimonianza di attaccamento alla Fai. Certo, in un sistema giudiziario che richiede anni per qualsiasi decisione, è stato necessario passare per la scorciatoria del procedimento d’urgenza. Ed è stato qui, non nel merito, che la nostra domanda di giustizia è stata fermata dal giudice Bernardo; oggi speriamo (nel senso che abbiamo motivo di sperare) di riuscire a riprendere il percorso (e di bloccare quello del commissario).
La seconda è che, pur restando fermo quanto detto sopra, la nostra battaglia ha comunque valore in sé anche come testimonianza. Perché ognuno con la propria azione testimonia implicitamente in cosa crede. E noi non crediamo che chi ha scelto il sindacato possa accettare la legge del più forte .
Tutto il commissariamento, quanto l’ha preceduto e come si è svolto, è stato segnato dall’applicazione rigorosa della legge del più forte, quella dell’ “articolo quinto, chi tiene in mano ha vinto”. Per questo ci sono stati i sommersi e i salvati, chi ha ricevuto misericordia dall’alto e chi è stato cacciato e privato del lavoro.
Stando così le cose, c’era solo un luogo dove la legge del più forte non avrebbe trovato applicazione, ed era l’aula di un tribunale. Per questo abbiamo imboccato questa strada, senza tentennamenti. Oggi noi saremo davanti al collegio di giudici su un piano di parità con le nostre controparti; che, almeno per un giorno, non avranno la possibilità di applicare la legge del più forte e chiudere il discorso,
Certo, anche se la legge dello stato mette il più forte e il più debole sullo stesso piano, non è mai questa la via d’uscita definitiva. Per chi ha scelto il sindacato, la legge alternativa a quella del più forte è la solidarietà. Il condividere tutti la forza dell’associarsi.
Ma per riprendere la strada dell’associazione era necessario impedire che potesse essere esercitata la legge del più forte dentro all’associazione. Era necessario giudicare chiaramente, ed operare di conseguenza, il commissariamento come un atto con cui Via Po 21 (non la Cisl, che è quella cosa che appartiene a tutti) ha preso finalmente il controllo su via Tevere 20, dopo decenni di tentativi andati a vuoto (e dopo aver cominciato la penetrazione negli anni dell’accoppiata Cianfoni-Bonanni).
Per questo riteniamo che la nostra battaglia dovrebbe interessare anche altri nella Cisl; altrimenti ne uscirà legittimato il principio del governo dell’organizzazione attraverso la criminalizzazione dei non allineati.